100 LEVI-STRAUSS!

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Ho “incontrato” Claude Lévi-Strauss durante la stesura della mia tesi, inevitabilmente visto che l’argomento era la figura del selvaggio in Jean-Jacques Rousseau. E’ stato un incontro esaltante, illuminante, per me decisivo: quello che si dice un “grande maestro”. Confesso di essermi dedicato poco alla “prosa” delle sue teorie (in particolare  quelle relative al metodo e alla pratica strutturalista) e molto di più alla “poesia” (la sua lettura entusiasta e contagiosa di alcuni testi di Rousseau, ad esempio). Dopo aver terminato la tesi non me ne sono più occupato granché, ed anzi pensavo fosse nel frattempo morto (era già vecchissimo allora). Solo qualche anno fa ho scoperto con grande piacere che era vivo, vegeto e attivo, e proprio oggi 28 novembre Lévi-Strauss ha la fortuna (che è anche nostra) di compiere cento anni esatti. Naturalmente in Francia i festeggiamenti si sprecano (molto meno in Italia: se si eccettuano alcune pagine celebrative sui quotidiani e qualche rara conferenza in ambito accademico, non mi pare se ne stia parlando granché, ma si sa, l’Italia è un paese provinciale).

Mi unisco modestamente alle celebrazioni, e riporto di seguito, brevemente ed ellitticamente, quelle tesi che più mi hanno colpito ed affascinato dell’opera del grande antropologo:

1. Innanzitutto la sua “ideologia rousseauista“. Avere ritenuto Rousseau il fondatore delle scienze umane ha avuto un’importanza straordinaria nel dibattito antropologico novecentesco e nell’avvicinare gli studi etnologici alla filosofia. Lévi-Strauss ritiene a ragione Rousseau il filosofo che ha individuato nella questione del rapporto natura/cultura uno dei nodi cruciali dell’esperienza umana. La fondazione di questo tema avviene a suo parere proprio con il Discorso sull’origine della disuguaglianza, insieme al meno noto, ma altrettanto importante, Saggio sull’origine delle lingue: per studiare l’uomo, bisogna imparare a guardare lontano; non solo: la volontà sistematica di identificazione all’altro va di pari passo con un rifiuto ostinato di identificazione a sé. Scrive a tal proposito Lévi-Strauss:

“A Rousseau dobbiamo la scoperta di questo principio, il solo su cui possano fondarsi le scienze umane, ma che doveva restare inaccessibile e incomprensibile fintantoché fosse regnata una filosofia la quale, prendendo il proprio punto di partenza nel cogito, fosse prigioniera delle pretese evidenze dell’io, e non potesse aspirare a fondare una fisica se non rinunciando a fondare una sociologia e persino una biologia: Cartesio crede di passare direttamente dall’interiorità di un uomo all’esteriorità del mondo, senza rendersi conto che fra tali due estremi si collocano le società, le civiltà, ossia i mondi degli uomini.”

Rousseau è il pensatore che ha fatto dell’esperienza dell’alterità lo snodo fondamentale della filosofia (e dunque della conoscenza): esperire l’altro – innanzitutto quell’altro che è me stesso, persino nella sua forma estrema, e cioè l’animalità – è l’elemento fondante di ogni discorso possibile sulla natura umana.

2. Il concetto di pietas, anche questo indicato da Rousseau come “facoltà” originaria che gli esseri umani condividono con gli animali e con il mondo vivente più in generale, e che individua nell’altro non solo il parente, il vicino, il compatriota (secondo una linea tipicamente etnocentrica/egocentrica), ma l’essere umano qualsiasi proprio in quanto essere umano, fino a considerare l’animale in quanto tale e ad abbracciare nel circolo del riconoscimento l’essere vivente qualsiasi in quanto essere vivente: “L’uomo comincia dunque con il sentirsi identico a tutti i suoi simili, e non dimenticherà mai questa esperienza primitiva”. La pietà è un tratto originario del vivente, scritto, potremmo dire, nel suo Dna e non può esser cancellato, pena la distruzione della vita in quanto tale – una possibilità, quest’ultima, che gli umani hanno tenacemente perseguito, e che deriva da quell’abisso che chiamiamo “libertà“. Libertà di costruire e di perfezionarsi (perfectibilé, la chiama Rousseau), ma anche di distruggere  l’altro da sé e, in questo modo, se stessi.

3. Non entro nemmeno nel merito del cosiddetto “pensiero selvaggio” (e della critica dell’antinomia tra mentalità logica e mentalità magica o prelogica), ma colpiscono ne La pensée sauvage di Lévi-Strauss alcuni esempi etnologici di conoscenza indigena/primitiva. Mi limito a riportarne uno: i pigmei filippini conoscono (o conoscevano) nomi e descrizioni di 450 piante, 75 uccelli, della quasi totalità di serpenti, pesci, insetti e mammiferi del loro territorio, oltre alle 20 specie di formiche – conoscenze che condividono in buona parte con i bambini. Vogliamo organizzare una gara con gli abitanti di una qualunque città occidentale?

4. Un’altra grande lezione che ho imparato da Lévi-Strauss riguarda la concezione del “progresso“, da “relativizzare” sempre e comunque – cioè da collocare nel contesto storico-culturale e da osservare con adeguata distanza spazio-temporale. Due esempi su tutti: noi che ci crediamo così avanzati dipendiamo ancora da alcune “immense” scoperte della rivoluzione neolitica, e cioè l’agricoltura, l’allevamento, la ceramica, la tessitura… “A tutte queste ‘arti della civiltà’, da otto o diecimila anni ci siamo limitati ad arrecare solo perfezionamenti”. E quando un osservatore tra qualche migliaio di anni studierà l’altra grande rivoluzione dopo la neolitica, e cioè quella scientifica e industriale, potrebbe ritenere piuttosto futile e secondario sapere dove è cominciata, visto che in breve (una frazione di tempo secondo la prospettiva della lunga durata) ha contagiato l’intero pianeta. Oltre al fatto che potrebbe ritenere casuale che sia cominciata in Occidente piuttosto che in Oriente…

nambikwarasleepclevistrauss1994-full5. Concludo infine con una citazione da Tristi tropici, uno dei libri più esaltanti, desolanti e importanti del Novecento e, forse, di sempre. E’ tratto dall’eccezionale capitolo dedicato ai Nambikwara (dove tra l’altro si trova anche un geniale esperimento etnologico sul rapporto tra scrittura e potere). I Nambikwara sono uno dei popoli amazzonici che fanno parte di quell’umanità fragile (e fallita secondo quanto pensavano e pensano alcuni supponenti occidentali), in realtà falcidiata dalla barbarie plurisecolare di imperi e di grandi potenze, un’umanità che pure così tanto ci ha saputo insegnare; alle vittime di ieri, e di oggi, agli Indiani delle Americhe che a decine di milioni sono stati massacrati e strappati alle loro terre e alle loro culture in nome del luminoso e cosmopolita dio denaro; a quell’umanità sconfitta e silente, fuori della storia, senza Stato né scrittura, ha saputo dar voce quest’uomo grandioso che ha attraversato un secolo, il fratello pietoso e discepolo di Jean-Jacques:

«Il visitatore che per la prima volta si accampa nella boscaglia con gli Indiani, è preso dall’angoscia e dalla pietà di fronte allo spettacolo di questa umanità così totalmente indifesa; schiacciata, sembra, contro la superficie di una terra ostile da qualche implacabile cataclisma, nuda e rabbrividente accanto a fuochi vacillanti. Egli circola a tastoni fra la sterpaglia, evitando di urtare una mano, un braccio, un torso di cui s’indovinano i caldi riflessi al chiarore dei fuochi. Ma questa miseria è animata da bisbigli e da risa. Le coppie si stringono nella nostalgia di una unità perduta; le carezze non s’interrompono al passaggio dello straniero. S’indovina in tutti una immensa gentilezza, una profonda indifferenza, una ingenua e deliziosa soddisfazione animale, e, mettendo insieme tutti questi sentimenti diversi, qualche cosa che somiglia all’espressione più commovente della tenerezza umana».

(Testi di Lévi-Strauss citati: Razza e storia e altri studi di antropologia, Einaudi; Il pensiero selvaggio, EST; Tristi tropici, EST; fotografia: siesta Nambikwara).

Autore: md

Laureatosi in Filosofia all’Università Statale di Milano con la tesi "Il selvaggio, il tempo, la storia: antropologia e politica nell’opera di Jean-Jacques Rousseau" (relatore prof. Renato Pettoello; correlatore prof. Luciano Parinetto), svolge successivamente attività di divulgazione e alfabetizzazione filosofica, organizzando corsi, seminari, incontri pubblici. Nel 1999, insieme a Francesco Muraro, Nicoletta Poidimani e Luciano Parinetto, per le edizioni Punto Rosso pubblica il saggio "Corpi in divenire". Nel 2005 contribuisce alla nascita dell’Associazione Filosofica Noesis. Partecipa quindi a un progetto di “filosofia con i bambini” presso la scuola elementare Manzoni di Rescalda, esperimento tuttora in corso. E’ bibliotecario della Biblioteca comunale di Rescaldina.

10 pensieri riguardo “100 LEVI-STRAUSS!”

  1. Credo che oggi il termine «alterità» possa essere preso, a ragione, come un buon surrogato dell'(ormai da tempo) immanovrabile «nulla»: il che non è niente, ma neanche qual(che)cosa. Insomma, ben lo si sa: l’uomo è un invenzione umana (Foucault), tuttavia la riflessione umana torna ad essere alquanto strabica (dell’inumano sull’umano e a sua volta sul disumano e circoli disermeneutici affini); l’etnografia insegna? Parrebbe. Ma la sensazione dei tecnici è sempre un po’ quella di non sapere a che ora poter chiedere l’ora. E che poi, ben lo si sa – ad essere indessicali -: chi è causa dei suoi cani, pianga il commesso.

  2. auguriamogliene altri 100!
    sul comodino c’è “il totemismo oggi” che mi aspetta. devo ancora iniziarlo ma è il prossimo della lista. sarebbe il primo di levi-strauss, anche se sono convinto che troverò interessanti le sue tesi.
    come interessante deve essere quella tua sulla figura del selvaggio in Rousseau..

    alla prossima

  3. Alle scuole medie ho avuto un grande professore che mi chiarì da subito il concetto di evoluzione darwiniana e adattamento all’ ambiente. Mi disse che dal punto di vista di adattamento al proprio ambiente noi non siamo superiori agli scarafaggi, o agli insetti, ma semplicemente adatti alla sopravvivenza nel nostro ambiente come loro lo sono in quello in cui vivono. Darwin non da e non ha mai dato giudizi di valore o superiorità, tanto meno morale. Questo tipo di interpretazioni sono venute dopo da parte di chi ha piacere nel ritenersi superiore, come coloro che hanno definito “falliti” quegli uomini che vivevano e vivono in perfetta simbiosi con il loro ambiente amazzonico e divenuti fragili solo perché noi li abbiamo messi in condizione di esserlo.
    Un saluto Fabrizio

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