Piccola apologia dell’opacità

[L’ideologia panottica del cerchio – L’ideologia “democratica” della rete – Trasparenza orizzontale,  opacità verticale – Privacy, profilazione e neovalorizzazione – Alétheia, ovvero dell’ossimoro fondante il concetto di verità – Rousseau essoterico: giù ogni maschera! – La metafisica digitale di Gorgia – Trasparenza seduttiva e securitaria – Trasparenza satura – Trasparenza emotivo-immaginifica – L’acritica (in)coscienza social – L’eterno riposo digitale]

274998941. Un sistema di disseminazione di microvideocamere pressoché invisibile, virtualmente esteso a tutto il pianeta, che lo renda visibile e trasparente a chiunque in ogni momento; un microchip sottocutaneo per ogni nuovo bambino nato che lo renda tracciabile e dunque al sicuro da malintenzionati, pedofili, orchi e quant’altro; un automonitoraggio continuo del corpo attraverso una sostanza ingerita che produce la visualizzazione di tutti i dati biometrici sulla pelle del braccio; l’assoluta trasparenza dei politici, attraverso la visualizzazione pubblica di ogni minuto della loro vita; l’assoluta trasparenza di ciascun individuo; l’assoluta trasparenza e condivisione obbligatoria di ciascuna opinione, desiderio, decisione politica…

2. A partire dai tre dogmi del Cerchio – i segreti sono bugie, condividere è prendersi cura, la privacy è un furto – è questo il mondo prospettato dalla casta informatica di The Circle (romanzo distopico molto discusso dello scrittore americano Dave Eggers), il cerchio digitale che dominerà le nostre vite in ogni più piccolo anfratto e le renderà del tutto trasparenti, eliminando ogni ombra, ogni opacità, ogni più piccola ruga o increspatura dalla compagine sociale. Sarà un alveare panottico perfetto, dove tutti sapranno e condivideranno tutto di tutti, non ci saranno segreti o misteri o incomprensioni, e tutti vivranno felici e contenti. Insomma, il peggiore (o il più esaltante) dei tecnoincubi.
La saturazione visiva e condivisiva del controllo (di tutti su tutti) prosciugherà e renderà pressoché impossibile ogni crimine. La progressiva (ed obbligatoria) coincidenza della rete del cerchio con la rete democratica comporterà l’avvento della democrazia compiuta e perfetta: la salvezza che le religioni non hanno saputo assicurare agli umani, si compirà nella chiusura del cerchio, ovvero nell’assunzione dello sguardo di Dio, nel mito della totalità trasparente e della trasparenza totale. Ogni abitante della terra farà parte del Cerchio; il Cerchio risolverà tutti i problemi (dalla fame alla violenza); il Cerchio ingloberà tutto – “nessun dato, umano o numerico o storico o emotivo, andrà perduto, mai più”. Solo così – nel Cerchio – ciascuno troverà se stesso. Sia dunque lode al Cerchio!

index3. Tutto questo fa naturalmente il paio con la presunta ed illimitata libertà e democraticità della rete: proprio perché siamo tutti in rete – irretiti – (o lo siamo tutti potenzialmente) e tutto tende a diventare se non trasparente traslucido, si punta ormai a misurare il tasso di partecipazione dei cittadini sulla base della loro presenza nei social o del loro accesso alle informazioni che circolano nel mare magnum della rete, dove tutto è sotto gli occhi di tutti, ed è accessibile a tutti.
Il collettivo Ippolita – gruppo di ricerca interdisciplinare che vanta ormai 10 anni di attività – si è chiesto giustappunto se La Rete è libera e democratica? in un recente pamphlet della collana Idola di Laterza, e naturalmente la risposta è stata: falso! Con un’operazione sistematica (anche se non molto approfondita, data la brevità del testo) ci vengono svelati una serie di trucchi e di meccanismi che proprio mentre sbandierano il mito della trasparenza e del libero accesso, sono in realtà quanto di più opaco ci sia nel funzionamento della rete. A partire innanzitutto dalla sua riduzione e mistificazione: la Rete non è il Web (il www è solo uno dei tanti servizi disponibili), anche se da sempre si tende ad applicare qui forme retoriche tipiche quali la sineddoche o la metonimia – come quando si dice di cercare in google o in wikipedia, allargando a dismisura la copertura informativa (e dunque formativa) di una delle tante risorse disponibili e possibili (ne avevo parlato qui).

4. Ma ancor più interessante nel discorso di Ippolita è proprio il cortocircuito che si viene a creare fra trasparenza (richiesta o sbandierata agli utenti) ed opacità (dei veri attori e controllori della rete): il mondo degli algoritmi, del cosiddetto ranking, del profiling, i percorsi che indirizzano, guidano e tracciano gli utenti sono tutto fuorché chiari e trasparenti, e ben lontani dall’ostentata garanzia di oggettività. Viene semmai affermata “la disonestà della trasparenza totale” (17), a partire da un dato ovvio e banale: con quale moneta vengono pagati (e profumatamente remunerati) i servizi di google e dei vari social? Chi ne fruisce ha l’illusione della gratuità, mentre invece sta vendendo l’anima e si sta consegnando armi e bagagli ai padroni della rete: “I servizi che usiamo li paghiamo con qualcosa di più prezioso del denaro: le nostre informazioni personali e quelle dei nostri amici”. La profilazione altro non è che la costituzione di crescenti e smisurati dossier digitali di cui ci sfugge completamente il controllo: la nostra trasparenza viene rovesciata in una totale opacità dei meccanismi di utilizzo delle informazioni “private” – ma su questo termine (privacy) e sulla sua variazione semantica occorrerebbe aprire un fronte di riflessione (se è vero, come io penso, che i concetti di pubblico e privato ed i loro mobili confini, nonché quelli di identità individuale e sociale altro non sono che dispositivi e costruzioni ideologiche socialmente e storicamente determinati). Ad ogni modo la finalità di tutto questo non è certo la crescita intellettuale e culturale o della democrazia, ma solo dei conti in banca dei padroni della rete – il web è territorio di valorizzazione del Capitale, punto. La cosa incredibile è che in questo caso ci sia stata un’autoconsegna alla valorizzazione, sotto le mentite spoglie della autocrescita.

5. Detto questo, occorre allora scavare ancora più a fondo (e qui la filosofia, come sempre ci viene in soccorso), proprio nei termini e concetti implicati in questa nuova riconfigurazione dei dispositivi sociali di (auto)controllo. Ovvero chiedersi a che cosa alludono categorie come quelle di opacità e trasparenza, privato/pubblico, individualità/socialità (che sono, ovviamente, coppie correlate di concetti) nell’epoca digitale, nell’epoca cioè in cui la figura della “verità”, già in crisi da un secolo buono, si rifrange (o meglio, si sfrangia) in un flusso continuo di informazioni che paiono non avere alcuno scopo. Che si limitano ad apparire, a tras-parire e ad essere disponibili ed accessibili universalmente – o è quel che ci viene fatto credere.

a755628dd3bb1bd2ef941ffdde9ddafe6. D’altro canto è la stessa verità ad avere ab origine una natura ambigua proprio in relazione alla sua opacità e trasparenza, rasentando così l’ossimoro: alètheia è concetto che già nel nome allude al dis-velamento di qualcosa che altrimenti rimarrebbe in ombra, ed affermare la verità assume così per i filosofi greci il significato di mostrare ciò che ad uno sguardo superficiale (la dòxa) continuerebbe a rimanere nascosto, in latenza (una latenza originaria e fondativa di ogni discorso veritativo che viene così affermandosi con un atto di forza dis-velante, quasi si volesse costringere l’essere o la natura a dire quel che davvero sono, e a venire in luce, a trasparire – ma luce ed ombra sono correlativi e reciproci, l’uno non è senza l’altro, come ci viene similmente dis-velato in apertura di Genesi).

7. Ma lasciando perdere il gergo ontologico-heideggeriano, che viene subito a noia, sarà un filosofo sociale come Rousseau ad indicare proprio nella trasparenza (e negli ostacoli che la intorbidano e corrompono) il nodo essenziale della moderna società alienata. Se tradizionalmente i filosofi preferiscono la velatezza (e l’esoterismo) della verità (in alcuni casi la sua opacità – Eraclito era ad esempio indicato come l’oscuro, skoteinòs), Rousseau è il filosofo essoterico per antonomasia: via le maschere, via ogni opacità, via tutti gli orpelli della civilizzazione! Il ritorno alla natura è il ritorno alla trasparenza dello sguardo e della visione sull’alterità.
Non c’è dubbio che a Rousseau una “società a portata di clic” (anziché “di voce”, come previsto dal suo modello di “democrazia diretta”) è congeniale (ne avevo parlato nemmeno tanto ironicamente qui, a proposito di facebook): il filosofo della trasparenza non potrebbe che trovarsi a suo agio in una società digitale integralmente votata alla comunicazione più limpida e trasparente – a quello che cioè si suppone un flusso veritativo orizzontale, democratico, controllabile da tutti. Senonché è altrettanto facile supporre che tale trasparenza sia in realtà rovesciabile in una serie di maschere sovrapposte – e di inusitate strutture gerarchiche e verticali, nuovi assetti proprietari, sia fisici che intellettuali – e in meccanismi raffinati e perversi di permanente dissimulazione (innanzitutto di sé a se stessi). La plebe può ben essere trasparente ed orizzontale, ma il potere rimane verticale ed inaccessibile.

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8. All’autosfruttamento (autocontrollo, autovalorizzazione, autodisciplinamento) di cui parla Byung-Chul Han, può facilmente essere accostata una permanente forma di autodissimulazione: l’illusione, cioè, della trasparenza del mondo, del suo avvicinamento, della sua conflagrazione virtuale in un continuum conoscibile, comunicabile e linguisticamente omogeneo. Tutto è, tutto è conoscibile, tutto è comunicabile – perfetto e totale rovesciamento della celebre triade paradossale di Gorgia. Ma tutto è proprio perché conoscibile e tutto è conoscibile proprio perché comunicabile ed informabile: appare cioè qui chiaro come sia in atto un totale rovesciamento di prospettiva ontologica. La trasparenza fonda l’opacità. Lo spirito genera la sostanza. L’immateriale il materiale. Come a dire che dal nulla si genera il mondo. Un esito magnifico, inaspettato ed incredibile di oltre due millenni di storia della metafisica.

9. Ma mi sono forse spinto al di là dei ragionevoli confini di questo breve scritto, il cui obiettivo era di circoscrivere i concetti (socialmente determinati e a loro volta produttivi di socialità) di trasparenza ed opacità. Ci si è sempre lamentati dell’opacità del potere e i movimenti rivoluzionari si sono sempre posti come obiettivo quello di rendere trasparenti i dispositivi decisionali, di decostruirli, smontarli, destrutturarli e porli sotto il controllo popolare. Il paradosso dell’attuale dialettica tra opacità e trasparenza è che in quest’ultima si annida in verità una nuova forma di potere e di controllo micidiale – anche perché vi è comunque un’articolazione (come si è detto sopra, seguendo la critica di Ippolita) dell’opacità tale per cui appaiono trasparenti meccanismi la cui genesi è invece quantomai opaca. O, dato ancor più allarmante, vi è forse un fascino della trasparenza, una sua seduttività che, in nome di valori sociali più alti come quelli della sicurezza, può diventare molto pericoloso.

10. Non solo: il mito della trasparenza digitale finisce per produrre un mondo saturo e ossificato, contraddicendo così se stesso: il flusso informativo è tale per cui si finisce per essere bombardati di informazioni, un’abulia che comporta inevitabilmente apatia ed indifferenza. Anche perché è del tutto impossibile sapere tutto ed essere informati su tutto (un “tutto” più creduto e costruito che reale, ovviamente), ed anzi folle ed inutile. Pare quasi che i nuovi poteri sfruttino questa saturazione per creare un’illusione partecipativa che si rovescia in realtà nel suo esatto contrario: lasciare che tutto accada come altri vogliono o decidono che deve accadere o accadrà.

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11. Vi è poi – specie nell’immediatezza social – un salto grave della ragione pubblica e della coscienza critico-argomentativa: saltano i nessi logici per farsi avanti (ed occupare tutto lo spazio dell’opinione pubblica) i soli accostamenti immaginari ed emotivi (anche su questo avevo accennato qualcosa qui). La formula imperante del “mi piace” e dell’emoticon sono la perfetta sintesi di questa dinamica che parrebbe aver occupato gran parte delle tradizionali forme di malcontento popolare, critica sociale, lotta di classe. Ora tutti sfogano le proprie eventuali ubbie, rabbie, paure e idiosincrasie a colpi di clic e di giudizi lapidari (esercitando sempre più spesso il disprezzo e la distruzione di chi si avversa, senza andare troppo per il sottile nel saper distinguere tra persone, idee o giudizi). L’annuncio, in assenza di reazioni al momento imprevedibili, della fine della politica e dell’avvento di un’era del consumo tecnocratico-digitale.

12. D’altro canto, avrebbe senso opporre alle magnifiche sorti e progressive della trasparenza, una ritornante e un poco zombica apologia dell’opacità? – un ritorno, cioè, alla resistenza materiale, alla densità interiore, all’oscurità inconscia, al limite pudìco dell’io nei confronti del non-io? Al limite materiale tout cort, alla finitezza, alla nostra banale (si fa per dire) corporeità? Oppure la morte – ovvero la sua naturale, giusta ed implacabile materialità – ci terrorizza a tal punto da volerle opporre il mito pur sempre illusorio di una neo-immortalità digitale?
Scritture, immagini, riversamenti, connessioni e proiezioni digitali che, duplicandoci e clonando le nostre menti e (dubbie) passioni, ci garantiranno un luminoso ed eterno riposo! Wow! – verrebbe da esclamare, e qui ci starebbe bene uno di quei simbolini primitivi (quelli sì davvero arretrati) che impazzano in ogni chat.
L’intelletto attivo aristotelico dispiegato; l’illuminismo e lo spirito hegeliano perfettamente realizzati; una scienza logico-digitale compiuta – tutto però senza un solo velo d’ombra o di negatività.
Il cerchio che si chiude e l’iperuranio che aleggia sopra corpi anchilosati e culi di pietra!
Non sarà mica colpa della filosofia?

Autore: md

Laureatosi in Filosofia all’Università Statale di Milano con la tesi "Il selvaggio, il tempo, la storia: antropologia e politica nell’opera di Jean-Jacques Rousseau" (relatore prof. Renato Pettoello; correlatore prof. Luciano Parinetto), svolge successivamente attività di divulgazione e alfabetizzazione filosofica, organizzando corsi, seminari, incontri pubblici. Nel 1999, insieme a Francesco Muraro, Nicoletta Poidimani e Luciano Parinetto, per le edizioni Punto Rosso pubblica il saggio "Corpi in divenire". Nel 2005 contribuisce alla nascita dell’Associazione Filosofica Noesis. Partecipa quindi a un progetto di “filosofia con i bambini” presso la scuola elementare Manzoni di Rescalda, esperimento tuttora in corso. E’ bibliotecario della Biblioteca comunale di Rescaldina.

6 pensieri riguardo “Piccola apologia dell’opacità”

  1. Per me è colpa di una superficialità dilagante. Sembra che tutti sappiano tutto, ma in pochissimi vanno a grattare sotto la superficie alla ricerca di ciò che è vero.

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