Animalia VI – Liberazione umano-animale e koinè

[Traccia dell’incontro del Gruppo di discussione filosofica del 15 aprile 2024, ultimo incontro del percorso Animalia]

Nulla turba più i sapiens del silenzio,
o quello che a loro appare silenzio,
degli animali.
(F. Cimatti)

(Prologo)
Senzaparole è un albo illustrato dell’artista spagnolo Roger Olmos, pubblicato nel 2014, ormai dieci anni fa: si tratta di un piccolo capolavoro che rappresenta con alcune straordinarie illustrazioni il nostro rapporto criminale – non saprei come altro definirlo – con il mondo animale, ovvero con quei soggetti che sono senza parole, ma la cui infinita sofferenza ha cominciato a trovarle, a parlare, anzi a gridare. Senza parole non sono solo gli animali, ma innanzitutto noi umani, che distogliamo lo sguardo, che per vivere in una società fondata sul sangue e sulla violenza, dobbiamo innanzitutto rimuovere, tenere nascosta, non nominare e rendere invisibile proprio l’enorme gabbia che tiene imprigionata una moltitudine di viventi sfruttati. Ecco, partiamo proprio da qui, da questa rimozione, che è ancor più grave se viene imputata ai pensatori, ai filosofi, a coloro che invece le parole dovrebbero saperle trovare.
Partiamo dallo stupore di Peter Singer, uno dei grandi maestri dell’animalismo e dell’antispecismo, di fronte a questo mutismo.

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I presocratici – 2. Eraclito, Parmenide

Dai frammenti di ERACLITO: nuclei tematici

Eraclito, di origini regali, visse ad Efeso, tra il 540 e il 480 a.C. Non si occupò direttamente di politica (la città, governata dai Persiani, era preda di gravi conflitti), preferendo starsene in disparte e costellando però il suo pensiero di riferimenti etico-politici che ne fanno forse il primo grande pensatore politico della grecità.
Noto per il motto “ta panta rei” (che non si trova però in nessuno dei suoi scritti rimastici), diventò il “filosofo del divenire” per antonomasia – ciò che influenzò molti filosofi successivi e che, probabilmente, diventò l’ossessione di Platone circa la precarietà del mondo sensibile.
Ci restano dei suoi scritti circa 120 frammenti, redatti con linguaggio sentenzioso e talvolta oscuro (“oscuro”, skoteinos, fu uno dei suoi soprannomi). Le interpretazioni, spesso diversissime, di questi frammenti costituiscono il grande problema – insieme al grande interesse – per un pensiero che è in continuità con quello ionico, ma anche di una novità dirompente. Vediamone i nuclei tematici essenziali, a partire da una selezione dei frammenti.

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Filometafore

Curioso questo albo illustrato, edito dall’Ippocampo, rivolto forse ai ragazzi (ma direi ad una fascia indefinita di lettori), e costruito su 24 immagini filosofiche che hanno segnato la storia del pensiero (non solo occidentale): fiume, sfera, yin e yang, caverna, giardino, marionetta, specchio, rasoio, viaggio, lupo, luce, colomba, civetta, segreto, oppio, mare, iceberg, gioco, aura, deserto, rizoma, oriente, matrice, liquido.
Doppia pagina: a sinistra il concetto-metafora, l’autore, una citazione, un brano esplicativo, una breve scheda storica; a destra un’immagine dipinta dal pittore spagnolo Guim Tiò.

Animalia V – Mechané, con una nota sul concetto di clinamen

Massimo Kaufmann, Clinamen 2013

[traccia del Gruppo di discussione filosofica dell’11 marzo 2024]

Parleremo questa sera di “riduzionismo”, ovvero di quella concezione tipica della scienza moderna che riduce la natura a “oggetto”, “elemento”, “meccanismo” – producendo conseguentemente una mentalità che la intende come cosa, risorsa, giacimento a disposizione degli umani. Secondo questa visione, tutto è riducibile a materia, non esistono principi “irriducibili” che sfuggano all’analisi fisica: tutto è fisico (che diventa sinonimo di naturale), tutto è spiegabile attraverso leggi fisico-materiali. La coscienza, l’etica, l’arte, le leggi, il pensiero, i sentimenti sono riducibili al loro sostrato biologico-evolutivo che è riducibile a quello biochimico che è a sua volta riducibile al piano fisico: un brillante esempio di operazione riduzionistica della vita è quella operata dal fisico quantistico Schrödinger, nel breve saggio Che cos’è la vita? – salvo dover concludere con una serie di osservazioni che alludono, come vedremo, ad un “problema difficile” da risolvere.
Ci muoveremo quindi su questo doppio binario: riduzione ed irriducibilità, risoluzione di tutti i problemi al livello fisico, e “problema difficile”.

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Guerra e conflitto sociale

Il governo francese ritiene ormai la Russia il nemico numero uno. Se ancora si usasse quell’antica formula, il suo ambasciatore avrebbe già inviato al proprio omologo la relativa dichiarazione di guerra.
Molto interessante, a tal proposito, quel che il ministro dell’interno dice sul primato russo nelle ingerenze straniere: la Russia sarebbe oggi il primo nemico ”nella guerra informativa, di aggressività, sul territorio” della Francia. Questo discorso sulla “guerra ibrida” e sulla capacità di condizionamento da parte della propaganda russa dell’opinione pubblica europea – evidentemente un po’ scema ed infantile – sta subendo una pericolosa accelerazione.
In sostanza la Russia avrebbe ormai invaso virtualmente l’Europa, e dunque è bene che ci si prepari ad una guerra (che non potrà però essere simmetrica, visto che – chiarissimo il sottotesto – non essendo la Russia una democrazia, sarebbe impossibile penetrare in casa loro come loro fanno in casa nostra).
Ma al di là di questo livello dell’ormai battente propaganda di guerra (con quotidiane dichiarazioni – oggi, ad esempio, della Lituania – sull’eventualità di inviare truppe a Kiev), quel che dovrebbe preoccuparci di più è la ricaduta interna, eminentemente sociale, di questa deriva. Le attività di ingerenza russa, secondo i servizi segreti francesi “hanno generalmente l’obiettivo di amplificare i dissensi e le fratture interne della società”, sfruttando qualsiasi tipo di tematica, dalla riforma delle pensioni alle prese di posizione nel conflitto israelo-palestinese o alla denigrazione dei Giochi Olimpici.
Il passo successivo è automatico: ogni forma di conflitto sociale, di dissenso o di diserzione verrà letto come sospetto, una sorta di intelligenza col nemico e, quindi, di tradimento.

«Non solo i conflitti cessano quando le guerre iniziano (la belligeranza impone il divieto alle normali vicende della vita quotidiana), ma le guerre iniziano quando i conflitti cessano. L’antimilitarismo, allora, si trova a casa propria solo dove è data la condizione del conflitto sociale. In ciò anche, ed essenzialmente, si distingue dal pacifismo». (Franco Crespi, Appunti per l’antimilitarismo)

I solerti meccanici del terrore

Ho visto ieri sera La zona d’interesse. Ho poi letto qualche recensione. E a seguire qualcosa sul libro di Martin Amis e sulla vita di Rudolf Höss. Premetto che non so dire se il film mi sia piaciuto – anche perché la parola “piacere” ben poco si adatta a una certa tipologia di film, deputati più che altro a far pensare quando non a sconvolgere e rinfocolare dubbi.
E, a proposito di dubbi, che ci possa essere stata da parte del regista una qualche forma di manierismo, come qualcuno ha insinuato, è plausibile. Di sicuro si tratta di un’opera cinematografica molto costruita (ma quale opera non lo è?) – anche se a qualcuno può aver dato l’impressione che lo fosse troppo, e che la tecnica, sia visiva che sonora, strabordasse.
Mi limito a dire quel che è successo a me, durante e dopo la visione: in sala distacco razionale, quasi nessun tipo di emozione né di sdegno. Però stanotte ha lavorato l’inconscio, dato che ho sognato di trovarmi in un campo – ovvero, esattamente nel rimosso o nel “luogo cieco” del film – e che una guardia delle SS piuttosto sadica e solerte controllava minuziosamente i compiti a noi assegnati, e vigeva il terrore di sbagliare un solo gesto. Tutto era come sospeso in quella bolla di terrore.
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I presocratici – 1. Gli inizi: Talete, Anassimandro, Anassimene

(periodicamente mi capita di partecipare a qualche iniziativa di divulgazione filosofica, con la richiesta di parlare degli inizi della filosofia; lo faccio sempre molto volentieri, perché quell’inizio ha sempre qualcosa di nuovo da dire, e mentre lo interroghiamo interroga noi; l’occasione qui è una triade di lezioni sui Presocratici presso l’Università sempre giovani di Canegrate, in provincia di Milano)

Parleremo degli inizi della filosofia (termine successivo, probabilmente coniato da Pitagora, ad indicare chi ama o si prende cura di sophia, della sapienza).
Parleremo dei primi filosofi, i cosiddetti “presocratici”.
Senonché si pone subito un grave problema: quel che noi sappiamo dei primi filosofi si riduce ad una manciata di frammenti e ad un corpus di testimonianze: pochi testi scritti e la sedimentazione delle interpretazioni successive. Come dire: sulla filosofia c’è subito l’ombra della storia della filosofia. E molto spesso queste interpretazioni sono ben poco neutrali e piuttosto tendenziose e/o finalizzate a giustificare teorie filosofiche successive – per conferma o per smarcamento. Il primo storico della filosofia – che è insieme la fonte più importante – è Aristotele, che condizionerà tutte le future letture ed interpretazioni.
Nonostante questa problematicità delle fonti e la scarsità di scritti e di certezze su quali fossero le reali intenzioni dei primi filosofi, si ha come la sensazione di un “grande inizio”, dello sbocciare di qualcosa di inusitato e di potente.

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Cosa faresti se fossi vivo?

Occorre dire qualcosa su questo giovane americano – Aaron Bushnell – che domenica scorsa si è dato fuoco davanti all’ambasciata israeliana di Washington.
Innanzitutto per contrastare il vergognoso silenzio – una studiata diminuzione e psichiatrizzazione dell’evento – da parte dei media e del potere. Basti paragonarlo con lo spazio dato a Navalny, giusto per fare un esempio recente.
Ma è tale la potenza del gesto – un ragazzo si dà fuoco, grida diverse volte Free Palestine, lo grida anche quando è già avvolto dalle fiamme e urla per il dolore – che difficilmente potrà essere confinato nell’insignificanza. O nella logica emergenziale – come subito, mentre si svolgeva, è stato classificato dalla pistola puntata dall’agente: un’arma puntata su un morente in fiamme, che già ci dice tutto della follia nella quale siamo immersi.
Aaron accompagna il gesto con una tesi semplice ma forte come un pugno nello stomaco: “cosa faresti se fossi vivo durante…” – cioè, come puoi concepire la tua vita all’interno di un mondo che consente che ne venga negata l’essenza? Come puoi continuare a vivere normalmente accanto all’orrore di quel che accade?
Questo appello estremo – il più estremo che si possa dare in un’esistenza individuale – ci interroga tutti.
Aaron – da quel che si può leggere nelle testimonianze in rete, nelle interviste agli amici – era molto probabilmente un cristiano anarchico, un idealista dai principi rocciosi, qualcuno lo descrive come la persona “kindest, gentles e silliest” che avesse mai conosciuto – l’anima più gentile e sciocca.
Un puro e un folle, sicuramente non catalogabile secondo gli schemi correnti della società egocentrica e narcisista a cui apparteneva (era oltretutto un aviere ed ingegnere informatico, con un brillante futuro in vista, sempre secondo quei canoni).
Ma è piuttosto inutile provare a scavare nella mente di Aaron. Il suo gesto e le sue ultime parole dicono già tutto quel che c’è da dire. E da fare. O da non fare.
Un movimento collettivo che voglia disfare un mondo ingiusto non può volere che altri Aaron si immolino. Ma nemmeno che il conto dei 30000 di Gaza continui a salire giorno dopo giorno.
Possiamo infine leggerlo così: un giovane militare occidentale si dà fuoco perché nella parte di mondo colonizzata e militarizzata avverte un’ingiustizia intollerabile, che lo lacera nell’intimo: rilanciamo rabbiosamente il gesto e l’immagine di questo cortocircuito contro i signori della guerra che ci stanno conducendo nel baratro.

Ciò che ci rende cose

Questa prima parte del celebre saggio di Anders sulla sulbalternità umana al mondo delle macchine, venne pubblicata nel 1956, ovvero ormai quasi 70 anni fa.
Il primo capitolo della seconda parte si intitola “Il mondo fornito a domicilio”. L’indice ci fornisce già le tesi (direi le predizioni del tutto realizzate). Si prendano, ad esempio, i paragrafi dal 2 al 6:

2. Ogni consumatore è un lavoratore a domicilio non stipendiato che coopera alla produzione dell’uomo di massa.
3. La radio e lo schermo televisivo diventano il desco familiare di segno negativo; la famiglia diventa un pubblico in miniatura.
4. Gli apparecchi, togliendoci la parola, ci trasformano in minorennni e subordinati.
5. Gli avvenimenti vengono a noi, non siamo noi ad andare verso di loro.
6. Dato che il mondo ci è fornito in casa, non ne andiamo alla scoperta; rimaniamo privi di esperienza.

Il problema di fondo viene indicato nella dedica in esergo al padre William Stern (il vero cognome di Anders), autore di Persona e cosa del 1906; scrive Anders: «La sua bontà innata e l’ottimismo dell’epoca a cui apparteneva gli impedirono per molti anni di riconoscere che ciò che rende “cosa” la “persona” non è il trattamento scientifico, ma l’effettivo trattamento dell’uomo da parte dell’uomo».
È da ciò che nascono queste tristi pagine sulla sua devastazione…