Senza alzare polvere

Non c’è modo d’essere più terreni che marciando:
la monotonia smisurata del suolo.

giacometti_uomo_che_camminaSono moltissimi gli spunti che Fréderic Gros ci dà col suo Andare a piedi: filosofia del camminare (anche se è molto più bello il titolo originale, che forse valeva la pena lasciare in lingua anche nell’edizione italiana: Marcher, une philosophie).
Sono molti anche perché è un vero e proprio attraversamento degli attraversamenti, un camminare a fianco di grandi camminatori: da Nietzsche a Rimbaud, da Thoreau a Rousseau, dai cinici ai pellegrini medioevali fino ad arrivare ai flâneurs cittadini, e poi Nerval, Kant, Gandhi, Wordsworth (che è forse stato l’inventore delle passeggiate).
Camminare – lo dice già il titolo – è di per sé un atto filosofico, un elemento del pensiero. La mia esperienza personale mi dice che non c’è quasi pensiero che io abbia concepito o frase che sono andato qui scrivendo in questi sette anni (ma anche prima), che non siano sbocciati nel corso di una marcia, di una corsa o di uno svagato camminare. Condivido pienamente tale sensazione con l’autore francese, il cui testo ha un “valore aggiunto” (mi si perdoni la brutta espressione) proprio perché lui stesso ha molto camminato e fatto esperienza di quel che scrive – ha, insomma, portato a spasso i suoi pensieri, ha fatto prendere loro aria e brillantezza, deponendo così quella brutta sensazione di uno scrivere stantio ed asfittico.
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Petite Poucette

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Trovo quantomeno strana, e talvolta disdicevole, l’abitudine di alcuni editori italiani di tradurre (e tradire) il titolo di un testo di un’altra lingua, così da darne una presentazione in alcuni casi fuorviante. Se è vero che il titolo è un frammento del testo, allora non si capisce perché anziché Pollicina (Petite Poucette), il breve pamphlet di Michel Serres sulle nuove generazioni nativo-digitali sia stato tradotto Non è un mondo per vecchi, scimmiottando malamente il romanzo (poi film) di Cormac McCarthy.
Detto questo, il testo di Serres è una scorribanda alla velocità della luce (e in salsa francese) della rottura epocale che le nuove tecnologie digitali stanno generando nel mondo della cultura: cambio di paradigma dell’oggetto cognitivo, liberazione dei corpi dalle caverne del sapere, superamento dell’ordine concettuale (addirittura!), fine della dittatura della pagina e dell’ordine libresco, e così via.
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La transplendenza del sublime

Fortunatamente non rientro nella categoria analizzata da Edoardo Camurri – e cioè I filosofi che si autopubblicano – in un articolo comparso qualche settimana fa su La lettura, inserto domenicale del Corriere della sera, prima di tutto perché faccio fatica ad autodefinirmi “filosofo”, e poi perché vi si parla di self-publishing on-line, ovvero di e-book, e dunque di libri in formato digitale. Insomma, per ora l’ho scampata bella. Certo che se un giorno sul mio blog dovessi scrivere frasi come la seguente: “Essere sublime che ci incontra e si eventui, si getta nell’Essere così come nell’Esserci, per abitarvi con la transplendenza del sublime o dell’Essere sublatione sublime, o per abitare poeticamente le insenature sublimi di Kalipso“; o se dovessi solo accennare a cose come la “macrofilia”, le capre parmenidee e i culi planetari – vi prego fin d’ora di smettere di leggermi, di avvertirmi, di lanciarmi almeno un pietoso segnale.
Camurri conclude con elegante ironia, ricordandoci come l’incomprensibilità di un testo filosofico – pubblicato anche seguendo i canoni tradizionali – non sia mai stato un problema per il suo eventuale successo, visto che Heidegger diventò celebre scrivendo cose come “il mondo mondeggia”. Ciò non toglie – aggiungo io – che tali sublimi forme di scrittura o linguaggi starebbero più a loro agio nel limbo della gettità

Pèntade: l’anima e il blog

In verità, la prima parte del titolo potrebbe ingannare, poichè trattasi – secondo la definizione del dizionario on line Hoepli – di termine raro indicante “Gruppo di cinque cose uguali”. Vorrei infatti sperare che i cinque anni di blog trascorsi – l’anniversario cade proprio in questi giorni – non siano stati una omologata e noiosa pèntade. Pur tuttavia, proprio perché in oltre 600 post scritti in un arco temporale così lungo (ma anche breve, dipende dai punti di vista, come sempre), e così affollato di cambiamenti – ma anche così eguale e piatto (non mi pare ci sia stata nessuna rivoluzione epocale) – sono confluiti argomenti tanto disparati, ebbene vorrei approfittarne per provare a rinserrare le fila.
Anche se di fili al plurale occorre parlare, ché la mente è una matassa ingarbugliatissima, non certo riducibile ad un unico filamento. Insomma, proverò a dare una scorsa dall’alto, a volo d’uccello, al blog, per vedere se si intravvedono alcuni di questi fili e magari disegnare una qualche mappa. Dopotutto, se è vero che nel blog ho riversato pensieri ed emotività, pezzi di vita e di riflessione, dovrebbe pur restituirmi una qualche immagine speculare di 5 anni di vita intellettuale (e non solo). Salvo magari scoprire che nello specchio si andrà disegnando un ircocervo…

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Solo face, niente book

(Anticipazione in forma semi-ironica di un post ben più serio a seguire)

Fu solo verso la fine degli anni ’80 che il primo personal computer fece il suo ingresso (ben poco trionfale) nell’ufficio dove all’epoca lavoravo. Fui preso dapprima da sgomento; poi ebbi un attacco di ira funesta; quindi lanciai irripetibili contumelie a destra e a manca; infine, calmatomi, vidi affacciarsi nella mente pericolosi propositi luddistici e meditai così di prenderlo a martellate.

Ho resistito (ben poco eroicamente) a farmi infilare in tasca (e in testa) quella maledetta diavoleria  inventata dal Kapitale e chiamata buffamente “cellulare” o “telefonino”, utile solo a farti tracciare e controllare in ogni tuo millimetrico spostamento (dove sei? è la domanda scema che segue ad ogni squillo; mentre un mio amico komunista l’ha ribattezzato, non a torto, butta la pasta) – ho resistito, dicevo, finché ho potuto. So che tra tutti i miei amici e conoscenti sono stato davvero l’ultimo, ma poi ho ceduto anch’io (con l’alibi di averlo ricevuto in regalo da mio fratello). E il Kapitale ha trionfato anche sull’ultimo dei mohicani…

Ancor meno eroicamente – e qui ormai tutte le difese razionali erano andate a farsi catafottere – ho resistito a quella contagiosa e nefanda pestilenza chiamata facebook. Continua a leggere “Solo face, niente book”

Sedicenti blog e Medioevo 2.0

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Sedicente blog filosofico: era stata questa l’espressione utilizzata qualche tempo fa da Vincenzo Cucinotta, in un commento sul suo Sito dell’ideologia verde, nel riferirsi al “mio” blog. Chiarisco subito che il termine non sembrava voler avere nessuna connotazione particolare, tantomeno negativa, anche se non ho potuto esimermi dal rimarcare, un po’ piccato, la stranezza di quel “sedicente”. Eppure, forse involontariamente, direi che quella qualificazione mostrava uno dei nervi più scoperti del mondo Web 2.0, in particolare della blogosfera. La parola “se-dicente” ci rivela il suo significato nel modo stesso in cui è stata costruita: “ciò che uno dice di sé”, l’autodefinirsi e autonominarsi, con la connotazione però negativa dello “spacciarsi per ciò che non si è”, “che si qualifica in modo abusivo”, come recita lo Zingarelli (ecco perché, mi perdoni l’amico Vincenzo, un po’ mi ero risentito).

Fabio Metitieri nel suo interessantissimo libro Il grande inganno del Web 2.0 uscito di recente per i tipi di Laterza, purtroppo in concomitanza con la sua morte improvvisa, indica come uno dei grandi problemi oserei dire “ontologici” dell’informazione in rete, proprio quello della validazione delle fonti.
Premetto subito che non dovrei essere molto contento di quel che in questo libro viene detto a proposito dello strumento blog e del mondo dei bloggher – dunque anche dello spazio che quotidianamente sto utilizzando da due anni e mezzo circa – dato che l’autore non perde occasione per criticarli e, talvolta, in modo piuttosto rude e impietoso, non sempre condivisibile. Autoreferenzialità, poca autorevolezza, diffusa pratica del copia-e-incolla, superficialità, ideologia nuovista, una rigida linkogerarchia – e soprattutto un mare di inutile e ridondante “fuffa”: queste in soldoni le caratteristiche principali della blogosfera. Mi verrebbe da dire: e come dargli torto? senonché significherebbe propriamente sputare nel piatto in cui sto mangiando.
Ma vediamo meglio, anche se per sommi capi, i punti più salienti delle tesi esposte da Metitieri (che, giova ricordarlo, si è occupato di Internet fin dal 1992, è stato giornalista, esperto di comunicazione e di biblioteche in rete – argomento quest’ultimo al quale sono oltretutto direttamente interessato).

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2, 253, 3923, 100.000: i numeri, la ragione e la barbarie

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Avrei voluto “festeggiare” con gli amici e le amiche della Botte i 2 anni di attività  (il prossimo 19 febbraio) e le 100.000 visite al blog (ieri) – con 253 post pubblicati e quasi 4000 commenti, giusto per completare i resoconti quantitativi.

Avrei voluto, ma mi pare che non ci sia nulla da festeggiare, specie in questi infausti giorni.

Questo blog aveva fin dalla sua nascita l’obiettivo dichiarato di praticare la filosofia non solo ai fini della interpretazione e della comprensione del  mondo, ma anche, se non soprattutto, in vista di una sua trasformazione – tanto per citare il buon vecchio barbone di Treviri.

Credo che la filosofia non se ne debba stare rinchiusa nelle accademie, nei libri o nei monasteri del pensiero, ma anzi debba farsi corpo e sangue del vivere sociale, “stile di vita”, presidio della ragione entro la quotidianità. Non saprei che farmene di un sapere filosofico che – come l’hegeliana nottola di Minerva – dovesse limitarsi a spiccare il volo a sera, quando ormai tutto è accaduto. Sarebbe un volo triste, consolatorio e, tutto sommato, inutile.

Un presidio – dicevo – ancor più prezioso oggi, in un paese dove (per caso) ci troviamo a vivere, che vede una pericolosa avanzata della barbarie, con il suo convergente premere dal basso (razzismo e xenofobia, violenza, egoismo, cinismo, qualunquismo complice) e dall’alto. C’è una classe politica al potere, e nella fattispecie un governo, che ritengo una pericolosa fucina dei peggiori mostri dell’anti-ragione – gli atti di questi giorni contro le nude vite degli immigrati, con quella intollerabile crudeltà che ne vorrebbe fare dei paria sociali (le ronde, la delazione dei medici, la quotidiana caccia al clandestino); il colpo di mano “biopolitico” contro la libertà e l’autodeterminazione dei corpi e dei soggetti, con quell’uso cinico, per non dire sadico, del corpo sospeso tra la vita e la morte di Eluana Englaro, in tutto il suo significato necrofilo e totalitario; lo svuotamento progressivo dei principi costituzionali – sono, questi, gli atti estremi di un processo autoritario in corso che, con l’aggravarsi della crisi economica provocata dal sistema neoliberista, potrebbe avere uno sbocco neofascista. Se ne vedono già alcuni tratti e ingredienti: l’autoritarismo demagogico, l’ossessione securitaria, un’inedita alleanza (o servitù) teocratico-clericale, l’uso sistematico della paura, una riedizione del nazionalismo populista. Mi paiono questi gli orribili pilastri su cui si vorrebbe edificare la nuova struttura politico-giuridica sulle ceneri della Costituzione repubblicana. Se questo non è neofascismo, gli si trovi pure un altro nome, la sostanza non cambia. E del resto è già accaduto, può accadere di nuovo – e a mio parere sta accadendo.

Questo blog – insieme a molte altre voci libere e critiche della rete – è una goccia che vuole contribuire a costruire una qualche forma di resistenza a questa deriva. Ma non servirà a nulla se non concorrerà, nel contempo e nel suo piccolo, a rifondare un nuovo movimento etico, politico e culturale che dia – in prospettiva – uno sbocco alternativo alla crisi. Ne va della libertà di noi tutti e tutte.

***

Chi poi volesse, in conclusione, giusto per smorzare i toni e rilassarsi, può continuare a leggere qui sotto il resoconto più dettagliato dell’attività della Botte:

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CAOS DIGITALE

Così appariva qualche giorno fa il ripiano delle attività elettroniche di Digital-man. Caos e alienazione digitale. Ora sono intervenute le megapulizie generali che hanno riportato un minimo di ordine. Ma: l’alienazione digitale resta, e – soprattutto – si pone a Digital-man un problema etico ed ecosofico scottante, quello cioè della cosiddetta “spazzatura elettronica” o e-waste. A tal proposito, nel numero di gennaio 2008 del National geographic, è comparso un articolo inquietante sulla situazione mondiale del riciclaggio/smaltimento dei rifiuti elettronici. Tanto per cambiare: traffico illegale (prima Cina, Thailandia, Pakistan; ora Ghana, Nigeria, Costa d’Avorio), sversamenti altamente inquinanti, livelli di diossina paurosi, cancro e quant’altro. Del resto il totale mondiale di rifuti elettronici pare si aggiri intorno ai 45 milioni di tonnellate annue – 850 mila tonnellate solo in Italia, 14 kg a testa. Così anche Digital-man contribuisce alla circolazione pericolosa di piombo, mercurio, arsenico, cadmio, berillio, argento, oro e quant’altro – sostanze ben più tangibili della eterea sostanza spinoziana… E caos e alienazione abbandonano la pura dimensione intellettuale, per presentare anche il loro salato conto fisico…

Narcisismi 2 – L’anima, la maschera e i demiurghi della rete

Sommario

1. Caduta del pudore e “trivellazione delle anime”
2. Pornografia, idoli, immagini
3. La maschera di Rousseau
4. Essere o apparire?
5. Il palcoscenico digitale
6. L’occhio dilatato del potere
7. Una proposta oscena: ritrarsi e meditare
8. Veli e riflessi: una nota sulle fotografie di Ruggio [Ruggero Palazzo]) utilizzate

1. C’è un capitolo del libro di Galimberti, L’ospite inquietante di cui abbiamo già ampiamente discusso, che vorrei riprendere per allargare lo spettro della riflessione. Si tratta del capitolo 5, intitolato “La pubblicizzazione dell’intimo”, dove il filosofo sostiene che nella nostra epoca sia praticamente caduta l’antica barriera che separava l’interiorità dall’esteriorità, legittimando a tutti gli effetti la spudoratezza, da intendersi ora come messa in mostra dell’anima più che del corpo, con una perfetta corrispondenza tra esposizione di sé e voyeurismo. La continua “trivellazione delle vite private”, diventata ormai l’essenza del mondo televisivo, è l’emblema di questa neopornografia diffusa, più grave dell’antica pornografia per almeno due ragioni: prima di tutto perché denudare l’anima è un atto ben più osceno del denudare il corpo; in secondo luogo perché – aggiungo io – anche la distinzione tra vendita e indisponibilità di se stessi (corpo o anima che sia) è venuta ormai a cadere, cedendo all’omologazione mercificata imperante. Tutto è di tutti – ma ancor peggio tutto può essere venduto, persino l’ultimo neurone o frammento d’anima. Se poi qualcosa viene nascosto vuol dire che si ha qualcosa da nascondere, qualcosa di cui vergognarsi – e ciò è male. La caduta del pudore porta così con sé il più becero conformismo, se è vero che l’intimità e l’interiorità sono i nuclei profondi dell’essere individuale, ciò che lo fanno essere unico e irripetibile, e che la continua esposizione di sé, il concedersi a tutti indiscriminatamente – senza alcuna scelta e distinzione – non può che produrre un appiattimento generalizzato e un’omologazione dei modi di essere, i cui risultati sono già sotto gli occhi di tutti. A furia di trivellazioni l’anima finisce per dissolversi, proprio perché seppure il pudore sia un confine mobile socialmente determinato, quando i veli cadono tutti uno dopo l’altro, c’è il rischio che venga a mostrarsi infine il nulla che ci stava dietro. Succede un po’ come a Narciso, che alla fine, dopo essere stato fagocitato dalla sua stessa immagine e insensibilità, si lascia morire; o come a Eco, che si consuma fino a dissolversi nel filo di una voce. Oltretutto, corpi e anime denudati sono un po’ tutti uguali, e per ciò stesso poco desiderabili.
Detto questo, vorrei approfondire alcuni punti ed allargare il territorio di questa riflessione che nel testo di Galimberti mi pare troppo confinata all’ambito sociologico.

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