Impronte globali

Qualche considerazione sparsa sullo Strategic Concept NATO 2022.

1) Ne vien fuori una sorta di documento ideologico-strategico a tutto campo, nel quale si sostiene – in soldoni – che di qua c’è il bene e di là c’è il male. Noi siamo benigni, loro sono maligni. I nostri sono i valori buoni, i loro no.

2) In prima istanza “loro” sono i cattivi del momento (Russia – descritta come il nemico numero 1, il grande destabilizzatore dell’ordine internazionale – a seguire una non meglio specificata minaccia terroristica, Iran, Corea del Nord, insomma i soliti stati-canaglia, cui aggiungere a piacere varie entità non-statali).

3) Ma l’articolo 13 del documento – che indica nella Repubblica Popolare Cinese la principale sfida sistemica – ne esplicita il cuore: “La RPC usa una vasta gamma di strumenti politici, economici e militari per aumentare la sua impronta globale (global footprint)” – anche se (sottinteso: a differenza nostra che siamo trasparenti) il suo progetto strategico resta opaco.

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Emergocrazia

L’impressione generale che ho di questo momento storico-politico – impressione, non analisi – è che dopo un periodo “democratico” durato un paio di secoli – dall’Illuminismo alla Decolonizzazione – si torni all’antico, con la restaurazione di sistemi oligarchici e autoritari, ma soprattutto con una nuova concezione della sfera politica: tutto è emergenza. D’ora in poi – in verità già da qualche decennio a questa parte – il nuovo modo di governare e di concepire la politica sarà emergenziale. Dunque dopo la breve pausa “democratica”, un ritorno in pompa magna di oligarchie, monarchie, tirannidi – ma con l’ausilio essenziale dell’efficienza tecnoscientifica (ciò che insieme crea e risolve e però ricrea le emergenze)
La stagione democratica – grosso modo a partire dall’Illuminismo e dal giacobinismo roussoiano e rivoluzionario, seguiti da tutti i tentativi popolari di appropriarsi del potere e di riplasmare le società in senso orizzontale, e non più verticale, non solo nell’Europa dei movimenti socialisti, comunisti, operai, ma anche nelle sue colonie, attraverso tutti i processi di decolonizzazione novecenteschi – sembra già volgere al termine, e infrangersi di fronte alle emergenze: demografiche, energetiche, sanitarie, migratorie, geopolitiche e militari, climatiche, ambientali, ecc. La democrazia deve essere sostituita da una emergocrazia (o come la si voglia chiamare), una forma dell’organizzazione sociale contraddistinta da una permanente mobilitazione totale, ma agita e comandata dall’alto (dai tecnici, dagli scienziati, dalle élites). Continua a leggere “Emergocrazia”

La socialità ai tempi del colera

Non credo sia possibile prevedere quali effetti avrà nel breve e medio periodo l’emergenza sanitaria in corso, sia per quanto concerne i comportamenti psicosociali, sia per l’impatto economico – anche perché è ancora incerta la sua evoluzione. Credo però si possano già delineare alcuni temi su cui occorrerà riflettere, e che attengono ad una sfera più ampia e a tempi più lunghi. Ne schizzo brevemente almeno tre, di complessità crescente:

1. A dispetto dell’apparente predominio di forme di vita egocentriche e narcisistiche, funzionali all’ideologia neoliberista del produci consuma crepa – emerge chiaramente come la socialità, proprio nel momento in cui viene inibita per cause di forza maggiore, si riveli un elemento ancora vitale della convivenza, nonostante l’avvento delle società anonime ad automatizzate di massa. Socialità sia in termini di quotidianità conviviale, vita comune, cultura, spazi di socializzazione, bisogni di attenzione; sia anche per quanto concerne la messa in comune di pratiche, saperi, conoscenza, parallelamente ad una difficile resistenza alla saturazione comunicativa: general intellect, per dirlo con una antica e felice espressione.

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Né né: note dal margine

indexLe seguenti vogliono essere note a margine di uno scritto parecchio interessante di Pierre Rousset e François Sabado, militanti francesi dell’NPA – dunque di quel che rimane a sinistra del fronte anticapitalista; e, insieme, note dal margine, da parte cioè di chi non intende schierarsi né con i guerrafondai “buoni” e in doppiopetto, né con quelli “cattivi” con le barbe lunghe e le bandiere nere.
Oltre alla vastità dello sguardo, ho apprezzato di questo lungo articolo di Rousset e Sabado la lucidità dell’analisi – anche se naturalmente vi è un grosso deficit, non certo dovuto agli autori, per quanto concerne la prospettiva militante a sinistra. Ciò non toglie che una prassi cieca è inutile tanto quanto un’analisi puntualissima ma solo teoretica ed autoreferenziale – e sta proprio qui la scommessa, far convergere la lucidità intellettuale (la “cultura” da tutti invocata, ma solo a parole) con una ricomposizione sociale dopo decenni di devastazione neoliberista e iperconsumistica.
Detto questo, mentre rinvio per completezza all’articolo, vorrei al contempo sottolineare gli aspetti urgenti ed essenziali che vi ho colto:

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Migranti di tutti i paesi, unitevi!

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La “questione migranti” (e/o profughi) revoca in dubbio in maniera radicale il senso stesso della comunità politica (sia essa europea, nazionale o transnazionale). Non solo: revoca ognuna delle questioni – politiche, sociali, economiche, antropologiche, etiche, simboliche.
Proverò ad allinearle per sommi capi, in un quadro sintetico e non certo esaustivo. Una sorta di promemoria, di memorandum (o meglio, di contromemorandum).
È però necessaria una premessa volta a sgombrare il campo da un equivoco linguistico (la lingua, com’è noto, non è mai neutra). Distinguere tra profughi e migranti, come se solo i primi fossero investiti da un’emergenza umanitaria, è del tutto insensato: ogni migrante è un pro-fugo, un umano, cioè, che cerca scampo, in fuga da una situazione che percepisce come pericolosa se non mortale per sé e i propri cari – siano esse guerra, scarsità di cibo, avversità climatiche, mancanza di libertà/possibilità. Gli umani sono animali costituenti la propria possibilità di vita – è questo il senso profondo del concetto aristotelico di zôon politikòn – e ogni qualvolta tale possibilità viene chiusa o negata, essi hanno necessità vitale di riappropriarsene – in qualunque altro luogo e modo.
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Metafore idrauliche

Mentre il brutale linguaggio della politica conia metafore ciniche e crudeli, parla di “rubinetti da chiudere” e di “vasche da svuotare” – i corpi privi di vita dei migranti (delle persone migranti, cioè di esseri umani senza altra qualifica) emergono dalle acque del Mediterraneo. Ed è l’unica vera emergenza.

La durevole dittatura della merda

Solo in un paese sottosopra può accadere che l’analisi politica più avanzata provenga da un comico (nella fattispecie una comica) e non dagli intellettuali di professione. Draquila, il film-documentario di Sabina Guzzanti, non si limita a raccontare alcuni fatti e a dare voce ai terremotati aquilani (sia ai delusi che agli illusi), non è soltanto l’atto di denuncia della corruttela e del marcio sistema di potere dell’epoca berlusconiana – ma si spinge un po’ più in là: connettendo quei fatti, affiancando cosa a cosa e stortura a stortura, la Guzzanti ci offre un’analisi lucida di quel che va accadendo in questo paese rovesciato e governato (come amaramente dice nel finale un intervistato) dalla merda e, insieme, dall’illusione che ciò che è fasullo e vuoto non possa durare, mentre invece sta durando e durerà.
Ma veniamo ai punti cardine dell’analisi: sono almeno tre, e da tempo li vado denunciando su questo blog, con la speranza che prima o poi una sollevazione (non solo morale) possa porre fine ad uno dei peggiori periodi della storia italiana.

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Emergenza della verità

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La verità, si sa, è relativa. E’ una faccenda ottica e sinottica. Di luce e di ombre. Di dialettica tra fede e certezza. Di processi e di divenire. Ed è anche una questione di emergenza. La verità emerge, si staglia su altro, ma subito dopo viene sommersa. La verità, in ultima analisi, è la relazione tra l’emersione e la sommersione.
Strana parola – non verità, ma emergenza. Sotto certi aspetti, emergenza è riconducibile ad una precisa (e relativissima) scelta: far emergere ciò che di per sé non emerge perché parte di una costellazione fattuale, di una interconnessione. L’emergenza provoca quindi uno squilibrio interpretativo, un metter sopra qualcosa che sta sotto e viceversa. Una questione di piani. Emergenza è in qualche maniera un metter sottosopra le cose, un farle divergere dal loro contesto, e dotarle di significati nuovi e diversi. Far emergere finisce così per far divergere le cose da se stesse.
Naturalmente si può interpretare questo meccanismo in altro modo: talvolta l’emersione può voler dire il far venir fuori qualcosa che era nascosto, che non era in luce, che prima risultava invisibile. Secondo questa prospettiva l’intera filosofia (per lo meno quella che dà un significato cogente al concetto di verità) è un’attività emergenziale.
Ma tralasciamo le astruserie e torniamo al piano fattuale. Chissà perché in Italia – paese per antonomasia delle emergenze (delle situazioni pubbliche pericolose) – l’emergenza ha sempre un’accezione divergente delle cose.

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IDEOLOGIE DELL’EMERGENZA

Karl Marx considerava l’ideologia una sorta di deformazione ottica, una vera e propria costruzione teorica volta a distorcere e falsificare i rapporti e la realtà sociale. La “verità” della classe al potere che naturalizza ciò che è socialmente determinato, eternizza ciò che è in divenire, universalizza ciò che è particolare: una straordinaria macchina retorico-filosofica volta a giustificare il potere e le ingiustizie sociali. Molti trovano che Karl Marx sia ormai passato di moda, ma io penso che la sua concezione dell’ideologia sia più valida oggi di quanto non lo fosse ai suoi tempi (un mio amico disse una volta che in Marx ci sono verità che saranno vere soltanto dopodomani, altre che lo erano già ieri, alcune che non lo saranno mai…).
Si provi, ad esempio, ad applicare il suo concetto di ideologia a quanto va accadendo oggi nelle società occidentali, e nella italiana in particolare: il rovesciamento interpretativo che ne verrebbe fuori è impressionante. Lascio per ora da parte il tema (scottantissimo) della bioetica/biopolitica e della relativa ideologia della vita, per concentrarmi sulla questione più generale dell’emergenza. Da alcuni anni il potere (locale, nazionale, globale), con la complicità dei media da esso controllati, si manifesta in prima istanza nella prassi emergenziale del suo esercizio: emergenza clandestini/immigrati, emergenza terrorismo, emergenza ambiente, emergenza inflazione, emergenza petrolio, emergenza rifiuti, fino alle emergenze spicciole o stagionali (caldo, maltempo, inquinamento delle città, bullismo, zanzare, guidatori ubriachi, ecc. ecc.).

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